sabato 28 luglio 2012


Vedevi come giorno a giorno ti sfregavo
le cosce con l’incubo,
e razzolare il terrore nei domini del sesso
e niente mi dicevi.
Vedevi nei miei occhi scene di altri tempi
sequenze di case bruciate e rumore di linciaggio
e toccavi con schifo le squame
e non dicevi niente.
E mi lavavi con lo straccio il culo:
tutto quel che restava
e dicevi che era il vento quando fuori gridavano
i cani un’altra volta la mia morte:
e mi parlavi del vento perché niente restava.
Fingevi d’ignorarmi quando, solo, chiedevo
la morte che mi era dovuta
e quando insistevo che era
la stanza una cappella ardente
per ardere i giorni come sigari o candele,
onore postumo a quel che c’era nel mio corpo:
dicevi che era il vento.
Baciavi con l’oro
dolce della tua pazienza la corona
grottesca della mia pazzia
e lasciavi che facesse giorno e poi
notte nella finestra chiusa:
dicevi che era il tempo.
Dicevi che ero io quando spettri credevo
di vedere nella tua testa e nel tuo
cuore la danza notturna
e quando ti picchiavo e ti insultavo
bestemmiando contro quanto di più tenero
e non sapevo che mi amavi.
E così vivere è solo mendicare alle tue porte
e aspettare ai tuoi piedi, e sognare il tuo sguardo nel limbo
crudele dei muri di questa stanza,
anche se in fondo potrei
dire che accetto la vita
per rispetto a te che hai pietà di lei
e non so se c’è, e non vorrei
credere che ci sia stata un qualche giorno lontano,
e non so se c’è.
E non so se c’è, e cos’è questa cosa che sboccia
simile al pus per i muri, cosa sono questi libri
vecchi come la mia vita, testimoni di segreti
assurdi e grotteschi che ormai a nessuno interessano,
ridicoli come la mia vita e ancora più comici
della mia figura.
E non so se c’è vita
o se qui ne resta alcuna, e
se tutto questo non è bestemmia, se viverlo non è peccare
se merita il suo essere questa solitudine di lebbra
e di maledizione che pronunciano solo
gli altri per la loro fuga, e con risa e orge
attorno a questo cadavere fragile, solo aria,
e celebrano la mia rovina e di notte urinano
su questa tomba immensamente umiliata.
Io non so come può essere tanto immensa la mia morte,
né qual è il mistero che fa passare i giorni
né ciò che tiene in piedi la marionetta che va
ormai torti i fili e senza sapere ormai niente
né perché ho scritto questo, né se c’è qualcosa di scritto
se le lettere non sono dal marciapiede raschiate,
da ogni cultura.
Io non so cos’è la luce
misteriosa e crudele che appare a quest’ora
eternamente immobile di un assurdo mattino
non lo so, ma so che c’è accanto a me una sorella
unico essere che esiste anche dopo il niente:
E questa lingua che lecca
giorno dopo giorno le inutili piaghe
e il dolore senza dolore, come un’ombra vana,
come mal di denti o carie in un letto,
questa lingua instancabile che accarezza la lebbra
la stessa che ama i morti è forse, oggi che in fine niente
ormai resta scritto,
sopra un foglio fantasma l’unica poesia.

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