ROMEO - L’intenzione d’andare a questa festa
è buona, ma non è da senno andarci.
MERCUZIO - E perché mai?
ROMEO - Stanotte ho fatto un sogno.
MERCUZIO - Anch’io.
ROMEO - Davvero. E che cosa hai sognato?
MERCUZIO - Che quei che sognano spesso soggiacciono...
MERCUZIO - Ah, ho capito:
da te c’è stata la regina Mab.
ROMEO - Regina Mab? Chi diavolo è costei?
MERCUZIO - La mammana del regno delle fate;
e si presenta sempre in una forma
non più grossa d’una pietruzza d’agata
al dito indice di un assessore;
viaggia su un equipaggio trainato
da una muta di piccoli esserini,
e si posa sul naso di chi dorme;
i raggi delle ruote di quel traino
sono formati da zampe di ragno,
il mantice dall’ali di locuste,
le briglie da sottili filamenti
d’esili ragnatele; i pettorali
dai rugiadosi raggi della luna;
la frusta ha il manico d’osso di grillo
e la sferza d’un filo sottilissimo;
il cocchiere, a cassetta, è un moscerino
tutto grigio-vestito, non più grande
della metà d’uno di quei vermetti
che si tolgono fuori con lo spillo
dal dito d’una pigra fanciulletta;
il cocchio è un guscio cavo di nocciola
lavorato così da uno scoiattolo
falegname o da qualche vecchio tarlo;
son essi i carrozzieri delle fate
l’uno e l’altro, da tempo immemorabile.
In questo arnese, Mab va cavalcando,
la notte, pei cervelli degli amanti,
e allora questi sognano d’amore;
ROMEO - Basta, via, Mercuzio, basta!
Stai parlando del nulla!
MERCUZIO - Sì, di sogni,
che sono i figli d’un cervello pigro,
fatti solo di vana fantasia,
che sono inconsistenti come l’aria,
più incostanti del vento, che ora scherza
col grembo gelido del settentrione,
ed ora, all’improvviso, in tutta furia,
se ne va via sbuffando e volge il volto
alle stillanti rugiade del sud.
BENVOLIO - Ho paura che il sogno di cui parli
ci stia soffiando fuori di noi stessi:
perché la cena dev’esser finita,
e noi arriveremo troppo tardi.
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